25 aprile 2025, 80° anniversario della Liberazione

25 aprile 2025

Da sempre la  narrazione è il filo invisibile che unisce passato, presente e futuro. È attraverso le parole, le storie, i canti, i diari e i romanzi che i valori della Resistenza – la libertà, la giustizia, la democrazia – sono arrivati fino a noi.
Chi racconta non solo tramanda un fatto, ma lo interpreta, lo rende umano, lo rende nostro.

Oggi, attraverso letture, canzoni e parole, vogliamo ascoltare quelle voci resistenti
Le voci di chi ha combattuto per un’Italia diversa.
Le voci di chi ha creduto, anche a costo della vita, che un altro mondo fosse possibile.

Oggi, come ieri, la libertà non è garantita per sempre.
Va difesa, costruita, raccontata.

L’arma più forte è la memoria viva, quella che si rinnova ogni volta che qualcuno ascolta, legge, canta, racconta.                                                                                                                                          

   

 

25 aprile 2025

Italo Calvino, dalla Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno (1964)

Questo romanzo è il primo che ho scritto; quasi posso dire la prima cosa che ho scritto, se si eccettuano pochi racconti. Che impressione mi fa, a riprenderlo in mano adesso? Più che come un’opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale d’un’epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva, dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani – che avevamo fatto appena in tempo a fare il partigiano – non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, «bruciati», ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d’una sua eredità. Non era facile ottimismo, però, o gratuita euforia; tutt’altro: quello di cui ci sentivamo depositari era un senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero, un rovello problematico generale, anche una nostra capacità di vivere lo strazio e lo sbaraglio; ma l’accento che vi mettevamo era quello d’una spavalda allegria. Molte cose nacquero da quel clima, e anche il piglio dei miei primi racconti e del primo romanzo.

Credo che ogni volta che si è stati testimoni o attori di un’epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale…A me, questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema come troppo impegnativo e solenne per le mie forze. E allora, proprio per non lasciarmi mettere in soggezione dal tema, decisi che l’avrei affrontato non di petto ma di scorcio. Tutto doveva essere visto dagli occhi d’un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi. Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo...

 

Italo Calvino, da Il sentiero dei nidi di ragno (1947)

Ecco, Pin ora andrà via, lontano da questi posti ventosi e sconosciuti, nel suo regno, il fossato, nel suo posto magico dove fanno il nido i ragni. Là c’è la sua pistola seppellita, dal nome misterioso: pi-trentotto; Pin farà il partigiano per conto suo, con la sua pistola, senza nessuno che gli storca le braccia fino quasi a rompergliele, senza nessuno che lo mandi a sotterrare i falchi per rotolarsi in mezzo ai rododendri, il maschio con la femmina. Pin farà cose meravigliose, sempre da solo, ucciderà un ufficiale, un capitano: il capitano di sua sorella spia. Allora tutti gli uomini lo rispetteranno e lo vorranno con loro in battaglia: forse gli insegneranno a maneggiare il mitragliatore. Pin sta andando per i sentieri che scendono dal Passo della Mezzaluna, a grandi passi: ha una lunga strada davanti a sé. Ma intanto s’accorge che l’entusiasmo dei suoi propositi è falso: s’accorge d’essere sicuro che le sue fantasticherie non s’avvereranno mai e che lui continuerà a vagabondare bambino povero e sperduto. Pin cammina tutto il giorno. Incontra posti dove si potrebbero fare bellissimi giochi; ma Pin non ha voglia di giocare e continua a camminare a perdifiato, con una tristezza che gli annuvola la gola. Si ferma a chieder da mangiare in una casa. Ci stanno due vecchini, marito e moglie, soli soli. I due vecchi accolgono Pin e gli danno castagne e latte, e gli parlano dei loro figli tutti prigionieri lontani. Ma Pin non è abituato a trattare con la gente buona e si trova a disagio, così scende dalla sua sedia piano piano e va via. Pin è al suo torrente. Il sentiero dei nidi di ragno sale su da quel punto E’ un posto magico, noto solo a Pin. Sale per il sentiero, a cuore in gola. Ecco i nidi: ma la terra è smossa, dappertutto si direbbe che una mano è passata, per cercare la pistola pi-trentotto! Pin non riconosce più il punto: le pietre che aveva messo non ci sono più, l’erba è strappata. Pin piange, a testa tra le mani. Nessuno gli ridarà più la sua pistola. Era l’ultima cosa che restava al mondo, a Pin: cosa farà adesso?

E’ solo sulla terra, Pin.

 

Antonio Albanese , da La strada giovane (2025)

Nel letto che non smetteva di tremare, Nino pensava al calore del pane. Era certo che se ci avesse pensato abbastanza forte, sarebbe riuscito a sentirlo proprio sui palmi delle mani. Ma era difficile concentrarsi, se i denti battevano in quel modo. Stringere Jean più di così non poteva: era tanto magro che gli avrebbe di sicuro fratturato qualche osso, e poi anche a lui dolevano le braccia. Gli facevano male sempre, la sera, poi la mattina capitava che si sentisse quasi in forze. Durava poco. Provò a rimboccare meglio un lembo di coperta sotto al corpo dell'amico e così facendo si scoprì il sedere, immediatamente morso dal gelo.

Ora aveva freddo dietro e caldo davanti perché Jean, sebbene tremasse, scottava. Non era il calore buono del pane, quello: era una febbre cattiva, velenosa. Nino sapeva che la febbre passava, l'aveva avuta anche lui, ma quella di Jean non voleva saperne.


"Strafübung! Raus! Alle raus!" Il corpo di Nino scattò giù dal letto e fu in piedi prima ancora che la mente lo seguisse. Il corpo ubbidiva automaticamente a quelle voci urlate, agli ordini in tedesco, perché voleva sopravvivere. La mente di Nino, però, si ricordò di ammucchiare la sottile coperta e la sua giacca a coprire Jean, anche la testa. Nel buio e nella confusione, forse non si sarebbero accorti che era qualcosa più di un mucchietto di stracci.

Poi, anche lui corse fuori. Provò a incrociare gli occhi di qualche altro internato ma in quella baracca erano tutti francesi, non sapeva come comunicare. Tanto, si disse, era inutile cercare di capire il motivo di quella "esercitazione di punizione”. Forse qualcuno nel campo aveva fatto qualcosa, più probabilmente nessuno aveva fatto niente. Nel campo la prima a morire era stata la logica, tutti gli altri erano venuti dopo.


"Schnell!" Il calcio di un fucile in mezzo alla schiena. Un dolore lancinante. Nino accelerò per tenere il passo di corsa. Non bastò.

"Schnell!!" Altra botta in mezzo alla schiena, Nino perdette l'equilibrio. Un sasso, sotto il ghiaccio sottile e tagliente che copriva la melma del cortile. Quando si rialzò, sentì il sangue sulla faccia. Non si fermò a pulirselo, accelerò il passo per lasciare indietro la risata del suo aguzzino. Era un suono secco, feroce. Forse rideva in tedesco. Quaranta giri del campo di corsa, per punizione, chissà di chi. Quando Nino rientrò nella baracca, vide subito con sollievo che Jean era ancora lì. Non lo avevano trovato.

Non tremava più.