I Licei di Camerino all'anniversario della Liberazione
Gli studenti dei Licei di Camerino Giulia Braghetti, Anita Catalano, Romeo Mimmotti, Elena Paoli, Alessio Pascucci, Lorenzo Tritarelli, in rappresentanza dell’intero Istituto, hanno partecipato oggi alla manifestazione organizzata dall’ANPI e dal Comune di Camerino in occasione dell’anniversario della Liberazione, presentando alcune riflessioni tratte dalla Letteratura sulla Resistenza. Centrali sono state le parole di Antonio Gramsci, l’intellettuale che dal carcere ha fornito il più alto e lucido esempio di Resistenza. Un ringraziamento particolare va ai nostri alunni e all’alunna dell’Istituto Tecnico Antinori di Camerino Aurora Botta che ha magistralmente accompagnato con il suono del violino la lettura di una delle Lettere di Gramsci dedicate alla sua Iulca. Si riporta il testo integrale letto dai ragazzi durante la commemorazione.
“Dobbiamo impedire a questo cervello di pensare per vent’anni”.
Queste sono le parole con cui il pubblico ministero Michele Isgrò conclude la sua requisitoria con la quale l’intellettuale Antonio Gramsci nel 1926 fu condannato alla pena carceraria, non dalla magistratura ordinaria, ma da una corte fascista, il Tribunale speciale per la difesa dello Stato in Roma. Quel tribunale comminò a Gramsci l’annullamento civile, politico e anche quello fisico, perché nove anni dopo, quando il Regime lo rilasciò per le sue disperate condizioni di salute, morì dopo appena una settimana. Nella scelta dei testi da presentare oggi in occasione dell’anniversario della Liberazione, ci siamo lasciati guidare dalle parole di Italo Calvino, autore di un articolo pubblicato nel primo numero della Rivista “Il movimento di liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di studi e di documenti” del 1949, in cui l’ex partigiano Calvino riflette sull’impatto dell’azione partigiana sulla Letteratura. Calvino sostiene che la letteratura italiana si sia arricchita, attraverso l’esperienza della Resistenza, di qualcosa di nuovo e di necessario. Dopo aver passato in rassegna autori e testi che si inseriscono inevitabilmente nel genere documentario e saggistico di natura storico-politica, Calvino sottolinea la nascita di un nuovo rapporto tra società e scrittore, che riuscì a trovare “l’innesto tra i problematismi suoi e il sentimento collettivo” nato all’indomani della Resistenza. Se la letteratura in prosa necessitava nell’immediato di un tempo maggiore per rielaborare quanto accaduto, è la poesia a fornire la più efficace testimonianza dell’uomo della Resistenza, sentito come necessario prototipo umano. Nelle parole di Gatto, Quasimodo, Fortini, Solmi, Caproni ed altri, levigate attraverso un lungo esercizio di poesia, ritroviamo la temperatura dei giorni e i sentimenti della lotta. “Liberate l’Italia, Curiel vuole / essere avvolto nella sua bandiera”: / tutto quel giorno ruppe nella vita / con la piena del sangue, nell’azzurro / il rosso palpitò come una gola. / E fummo vivi, insorti con il taglio / ridente della bocca, pieni gli occhi / piena la mano nel suo pugno: il cuore / d’improvviso ci apparve in mezzo al / petto” (Alfonso Gatto, da 25 aprile)
Ma è nella conclusione dell’articolo che Calvino riserva una menzione particolare ad un testo che si colloca su un filone purtroppo molto fruttuoso nella storia letteraria italiana: quello delle memorie di prigione: Le lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Le lettere non sono state scritte con intenti letterari, e neppure per farne un libro. Di fascismo e d’antifascismo se ne parla poco, eppure secondo Calvino il più grande libro della Resistenza è questo. Il più grande esempio dell’uomo nuovo nato da questa Resistenza, è quello del sereno e fortissimo rivoluzionario sardo che difronte alle accuse di reati infondati (cospirazione, incitamento alla guerra civile, all’insurrezione, all’odio di classe, alla disobbedienza delle leggi a mezzo stampa, tra gli altri) rivendica il senso della sua prigionia come atto di lotta. Con orgoglio lo ripete alla cognata che nelle lettere lo compativa: “Io non sono un afflitto che deve essere consolato e non lo diverrò mai”.
Perciò, afferma Calvino, l’abbiamo situato in questo studio per ultimo, non per primo. Perché la letteratura della Resistenza non ha fine, come non deve aver fine lo spirito della Resistenza: e Gramsci ha aperto una lunga via. Se a Gramsci è stata tolta la libertà, non gli è mai stata sottratta una tenace e serenissima capacità di vivere, di sentire, di conoscere, leggendo in carcere un libro al giorno delle materie più svariate e in più lingue, comunicando lo straordinario amore per gli animali e mantenendo con i suoi cari un rapporto più vivo che mai. Le lettere dal carcere “appartengono anche a chi è di altro o opposto partito politico”, come affermò Benedetto Croce quando apparvero per la prima volta nel 1947, e restano il più alto esempio di Resistenza, che travalica l’esperienza storica in sé e si pone a fondamento civile di una società che non rinuncia a vivere e a pensare.
In conclusione leggiamo un passo di una delle Lettere che Gramsci scrive alla sua adorata Iulca il 27 giugno 1932, che ammalatasi aveva consultato due medici: nella lettera Gramsci racconta una novella intitolata Un uomo in un fosso di Lucien Jean, in cui un uomo cade in un fosso e nessuno dei passanti fa niente per aiutarlo ad uscire, fin quando non decide di uscirne appellandosi solo a se stesso.
“L’uomo rimaneva nel fosso, finché non si guardò intorno, vide con esattezza dove era caduto, si divincolò, si inarcò, fece leva con le braccia e le gambe, si rizzò in piedi, e uscì dal fosso con le sole sue forze. Non so se ti ho dato il gusto della novella e se essa sia molto appropriata. Ma almeno in parte credo di sì: tu stessa mi scrivi che non dai ragione a nessuno dei due medici che hai consultato recentemente, e che se finora lasciavi decidere agli altri ora vuoi essere più forte. Non credo che ci sia neanche un po’ di disperazione in questi sentimenti: credo che siano molto assennati. Occorre bruciare tutto il passato, e ricostruire tutta una vita nuova: non bisogna lasciarci schiacciare dalla vita vissuta finora, o almeno bisogna conservarne solo ciò che fu costruttivo e anche bello. Bisogna uscire dal fosso e buttar via il rospo dal cuore”.
Cara Iulca, ti abbraccio teneramente